L’uomo che voleva




Sinossi. Un uomo, dopo una lite violenta, uccide sua moglie. È una sera qualunque, in un appartamento come tanti, a Copenaghen. Ma l’azione si svolge in un prossimo futuro e in una società che molto somiglia all’ideale modello della socialdemocrazia scandinava, deformata quel che basta a renderla più universale. Lo Stato che si prende cura del bene comune «dalla culla alla tomba» si è trasformato in una gabbia di conformismo, regno del consenso e dell’eufemismo, in cui tutto è pianificato e obbligatorio, compresa la felicità. E poiché l’omicidio non è altro che insufficiente adattamento sociale, Torben, l’assassino, viene sottoposto a cure psichiatriche e rimesso in libertà. Ma contro le regole di un sistema che nega la responsabilità individuale, Torben si ostina a voler essere giudicato e punito per quel che ha fatto. L’uomo che voleva essere colpevole è la storia di un processo kafkiano alla rovescia: l’inutile e sempre più assurdo tentativo del protagonista di dimostrare la propria colpa, l’angosciante senso di isolamento, la spirale di dubbi, lo sfaldarsi dell’identità e della realtà stessa diventano emblematici della condizione umana in un mondo che rifiuta la dimensione etica e si illude di delegare alla scienza la soluzione dei problemi morali. Solitari destinati a perdere nella lotta impari contro il proprio tempo, i personaggi di Stangerup, figli di Kierkegaard, preferiscono sempre e comunque prendere il rischio della loro verità e provare a essere «Quel singolo» che il filosofo danese voleva scrivere sulla sua tomba. Postfazione di Anthony Burgess.

 L’UOMO CHE VOLEVA ESSERE COLPEVOLE

di Henrik Stangerup

Iperborea 2023

Anna Cambieri ( Traduttore )

Narrativa contemporanea, pag.174


L’uomo che voleva essere colpevole

A cura di Marina Toniolo


 Recensione di Marina Toniolo

Per comprendere e spiegare il capolavoro di Stangerup devo partire dalla postfazione di Burgess. Negli anni Settanta due diverse correnti religiose-filosofiche si contendono l’attenzione degli intellettuali: da una parte quella giudaico-cristiana, con il concetto di colpa e assoluzione, dall’altra, prevalentemente nel nord Europa, la dottrina di San Pelagio in cui si afferma che l’uomo viene al mondo in una condizione ‘neutra, cioè che non ha bisogno della grazia divina e che è in grado di accedere al regno dei cieli grazie ai suoi soli sforzi e senza l’aiuto di nessuno.
Tutto questo, unito al socialismo danese presente in quel decennio, porta a quello che in futuro viene definito “welfare state”: lo stato si occupa degli abitanti dalla culla alla tomba con la ricerca dell’azzeramento delle differenze sociali. Stangerup analizza in modo critico i contro in questo romanzo distopico, ma che all’epoca si avvicina in modo impressionante alla realtà. 

Torben, ex sessantottino e scrittore la cui vena si è esaurita, vive in un supercondominio con la moglie Edith e il figlio Jasper. L’esistenza scorre piatta tra lavori pressoché inutili e la cura ossessiva del bonsai di casa. Al di fuori quasi tutti gli alberi sono morti a causa delle infiltrazioni di sale e il Baltico non è più un mare pescoso.

Per porre un freno all’aggressività latente degli abitanti di Copenaghen i cittadini tra cui Torben e Edith devono presenziare a incontri con gli Assistenti, il cui compito è effettuare il lavaggio del cervello. Quando Torben comprende che sua moglie è sulla strada per uniformarsi al resto della società, complice anche una buona dose di whiskey, la uccide.

Ma l’omicidio non è previsto nella società modello: Torben non viene né incriminato né giudicato. La colpa, se di colpa si può parlare, è della collettività che ha fallito. Ciononostante, il figlio Jasper gli viene tolto ed affidato ad un’altra famiglia.

Ma se Torben non ha colpa, perché il figlio non può stare con lui?

Ecco l’intento dell’uomo: farsi riconoscere colpevole cosicché possa scontare una pena e riavere la custodia del figlio. Purtroppo Torben è un uomo tormentato, se la società lo ha reintegrato, lui si sente fuori posto ovunque e comunque. 

In una Copenaghen grigia, squallida e mefitica l’uomo si aggira ripensando al passato e alla sua storia d’amore con Edith. Neppure i flashback dell’infanzia riescono a mitigare l’inadeguatezza che prova; delirando arriva a supporre che il governo riuscirà a cambiare la sua identità e a far sparire il passato.
Come un piccolo topolino nella gabbia Torben si muove in un primordiale Grande Fratello dove tutti si osservano e più alcuno ha coraggio di esprimere le proprie vere idee.

Naturalmente nessuno poteva capire, guardandolo, che aveva ucciso Edith. E nessuno sarebbe mai venuto a saperlo. Tenere il segreto faceva parte del sistema. Al contrario volevano offrirgli tutte le opportunità perché riprendesse tranquillamente il suo posto nella società”.

Ma come si convive con alle spalle la consapevolezza di aver causato la morte di una persona? Perché Torben una coscienza ce l’ha e, nonostante tutto, continua sempre a pungerlo.

“L’uomo che voleva essere colpevole” è un romanzo gelido e buio come la notte artica. Attuale e profondamente innovativo non lascia scampo al lettore coinvolgendolo in un notevole processo mentale. I supercondomini con le mense comunitarie e in contrapposizione le ville in campagna con buon cibo e vino offerto sono il dualismo che rispecchia da una parte la realtà socialista della Danimarca con l’esigenza di più attenzione verso il singolo individuo. 

Consigliato? Sì, Henrik Stangerup ha molto da insegnare a chiunque voglia affrontarlo e approfondire il suo pensiero.

Acquista su Amazon.it: 

Henrik Stangerup


(Fredriksberg 1937 – Copenaghen 1998) scrittore danese. Formatosi negli anni della contestazione studentesca, ma anche a contatto con l’esistenzialismo durante i soggiorni in Francia, entrò in polemica con il dogmatismo marxista della cultura danese degli anni Settanta, come testimonia il romanzo antiutopico ‘L’uomo che voleva essere colpevole’ (1973). La difesa dell’individuo e della sua autenticità si richiama al «singolo» di S. Kierkegaard e alla sua filosofia degli stadi della vita (estetico, etico e religioso), su cui è scandita la trilogia di romanzi storici ‘Lagoa Santa’ (1981), ‘È difficile morire a Dieppe’ (1985, nt), ‘Fratello Jacob’ (1991).