REAL STORIES. LA NOTTE ROSSA




Sinossi. Il 14 novembre 1997, nei dintorni di Victoria, in Canada, la quattordicenne Reena Virk scompare. Passeranno otto giorni prima che il suo corpo venga ritrovato senza vita sotto un ponte: la sua morte sconvolge la comunità e l’intera nazione, perché Reena e` stata uccisa da un gruppo di suoi coetanei, alcuni dei quali neanche la conoscevano. Rebecca Godfrey, all’epoca scrittrice e artista ventinovenne, si appassiona al caso e indaga sulle circostanze e sui responsabili dell’orribile delitto: ragazzi e ragazze colpevoli di aver massacrato Reena quasi per gioco, con spietata incoscienza; giovani come tanti altri, travolti da un disagio esistenziale che si propaga prima di esplodere in un gesto di efferata violenza. In questo resoconto vivido e avvincente, arricchito da una nota dell’autrice e da una postfazione di Mary Gaitskill, Rebecca Godfrey ricostruisce la verità attraverso le testimonianze dirette dei protagonisti. Entra nel loro cuore, ne mette a nudo il carattere, le fragilità, la disperazione. E con sguardo lucido e profondissima empatia racconta l’esperienza inevitabile e spaventosa del crescere, in una storia vera di emarginazione e bullismo, di accettazione e redenzione.

 LA NOTTE ROSSA

di Rebecca Godfrey

NN Editore 2023

Fabio Bernabei ( Traduttore )

Thriller, 464 p., Brossura

 Speciale di Kate Ducci

Nome: Reena Virk

Data di nascita: 10/03/1983

Ritorno a casa previsto: 14 novembre 1997 ore 22.00

Indirizzo: 1358 Irma Place

Così cominciava e finiva il verbale generale 97-27127 definito da quattro parole:

Verbale scomparsa giovane donna

Real stories

Il 14 novembre 1997, la giovanissima Reena Virk accetta l’invito a passare la serata con un gruppo di coetanee. É nervosa ed emozionata perché si tratta di un invito che non si sarebbe mai aspettata. Viene da parte di Josephine Bell, una ragazza bella e popolare, coraggiosa e aggressiva, che non le ha mai dedicato le attenzioni che Reena aveva sempre desiderato, osservandola muoversi con sicurezza all’interno della scuola locale e negli spazi di incontro che le ragazze dividevano. Condividevano solo l’amore per la musica rap e le gang, ma per Josephine, Reena era trasparente.

Reena era figlia di immigrati asiatici, testimoni di Geova che si attenevano in modo rigido a regole e tradizioni che mal si conciliavano con il desiderio e il bisogno della ragazza di integrarsi ed essere notata, nonostante non fosse bella, nonostante non fosse popolare. Non poteva nemmeno festeggiare il proprio compleanno, in quanto le imposizioni religiose lo vietavano e questo la faceva sentire ancora più emarginata, ancora più diversa, ancora più bisognosa di una soluzione.

Eppure Reena provava a ritagliarsi uno spazio che la facesse apparire uguale a quelle ragazze che scrutava e ammirava: si tingeva le unghie di blu, ascoltava musica rap e ammirava i ragazzi più popolari e affascinanti della scuola. Sapeva di non avere molte speranze, ma i sogni non hanno limiti e appartengono a tutti e non c’era cosa che Reena desiderasse più di un senso di appartenenza.

Ma a cosa era davvero dovuto quell’invito così inaspettato da parte di una ragazza che sembrava trovarla insignificante?

Reena ce l’aveva messa tutta a farsi accettare e includere, ma Jospephine e la sua amica Kelly Ellard, impegnate a frequentare altra gente bella e popolare, con il sogno dichiarato di trasferirsi a New York ed entrare a far parte di qualche gang mafiosa, non desideravano accoglierla.

Così, Reena aveva tentato la mossa ingenua di rendere Josephine più vulnerabile, più vicina a lei e, forse, più disposta a esserle amica, a vederla, a confidarsi con lei e comprendere le sue insicurezze. Si era impadronita della sua rubrica telefonica chiamando numerosi dei suoi contatti, ad alcuni dei quali aveva esternato critiche sul conto di Josephine: non era bella come sembrava, non era simpatica e forte come tutti credevano, non era speciale.

Si trattava di critiche ingenue, ma quelle ragazze avevano tra i quattordici e i sedici anni e certe osservazioni possono avere un gran peso a quell’età. Soprattutto perché Josephine e Kelly non erano le ragazze realizzate e sicure di sé che fingevano di essere. Entrambe espulse più volte da scuola, inserite in contesti famigliari problematici, rabbiose e insoddisfatte, covavano rancore e bisogno di riscatto. Reena, con la sua ingenua mossa, con il suo tentativo di rivalsa (forse l’unico desiderio che davvero le tre ragazze condividevano senza esserne consapevoli), aveva fornito loro una scusa per dar sfogo a un desiderio di vendetta.

A colpire e sconvolgere in questa orribile vicenda non sono solo i futili motivi che hanno condotto a una tragedia, né la sua fredda pianificazione, bensì quanto sia stato semplice coinvolgere in un crimine efferato un’intera comunità di ragazzini, molti dei quali con alle spalle una situazione famigliare e scolastica serena, non ai margini, perfettamente inseriti e soddisfatti e con nessuna ragione per odiare Reena. Addirittura, alcuni di coloro che si resero complici di questo delitto, nemmeno la conoscevano e la vedevano quella sera per la prima volta.

E dietro all’incoscienza di questi ragazzi, vi furono adulti ancora più incoscienti, ancora più irresponsabili. La madre di Kelly Ellard dichiarò in seguito di aver udito la figlia parlare al telefono con Josephine Bell qualche giorno prima dei tragici eventi ed elencare i dettagli di quella che appariva la pianificazione di un omicidio, con tanto di indecisione circa le modalità da adottare per uccidere la vittima designata e farne scomparire il corpo. La signora Ellard si limitò a chiedere alla figlia con chi stesse parlando, senza entrare nel merito della questione, senza provare terrore per quello che aveva udito nell’arco di una conversazione che si era protratta per quasi un’ora.

Era una ragazza problematica Kelly Ellard, non amava dialogo né critiche, non era rispettosa a casa così come a scuola, ma questo era sufficiente a giustificare un simile disinteresse per dichiarazioni tanto folli e crudeli?

E, sulla base di queste premesse, davvero sono solo un gruppo di ragazzini privi di scrupoli e di senso di responsabilità gli unici colpevoli di una morte orrenda e ingiustificata?

La sera del 14 novembre 1997, nonostante l’operazione punitiva nei confronti di Reeva fosse già stata decisa e pianificata, una serie di eventi contribuì a realizzare un diabolico piano che, forse, non sarebbe arrivato fino al suo orrendo compimento, senza il supporto di quelle singolari coincidenze.

Un satellite russo esplose nell’atmosfera, disegnando in cielo traiettorie che incollarono un’intera cittadina con gli occhi al cielo. Reeva e gli altri ragazzi si trovavano davanti alla scuola a festeggiare e divertirsi e quell’evento insolito li rese felici e nervosi. La maggior parte di quei ragazzi non aveva mai visto prima Reena Virk e quasi nessuno era al corrente dell’orrendo piano. Avevano passato la serata a guardare le improvvise e strane luci nel cielo, chiedendosi se fossero stelle o extraterrestri.

Qualcuno di loro gettò dei sassi contro le finestre della scuola e, quando la polizia arrivò per allontanarli, si spostarono sotto al ponte che attraversava il fiume, in una insenatura che veniva chiamata ‘Gorgo”. Fu a quel punto che Josephine Bell, approfittando della confusione e della zona isolata, aggredì Reena, colpendola e spegnendole una sigaretta in faccia. Quando Reena cercò timidamente di difendersi, Josephine la prese e a schiaffi e, senza alcuna motivazione, altre sei ragazze e un ragazzo, Warren Glowatski, intervennero contribuendo al pestaggio.

Quando Reena, dolorante e impaurita, smise di difendersi, tutti i ragazzi, compresa Josephine Bell, si allontanarono, lasciando che la ragazza abbandonasse il luogo e si dirigesse verso casa, attraversando il ponte.

Fu a quel punto che Kelly Ellard si avvicinò a Warren Glowatski e gli propose di raggiungere Reena, per minacciarla affinché non rivelasse a qualcuno cosa le fosse accaduto.

Reena non arrivò mai a casa: otto giorni dopo, la polizia recuperò il suo corpo con segni evidenti di pesanti percosse dall’acqua fredda e sporca del fiume, dall’altra parte di quel fiume che aveva cercato di attraversare per tornare a casa.

Come Rebecca Godfrey scrive ‘In tre attraversarono il ponte, ma solo due tornarono indietro’.

Il libro è la fedele e dettagliata cronaca di ciò che accadde quella notte, degli atti processuali che seguirono e delle inevitabili riflessioni che sconvolsero non solo una piccola comunità, ma tutti i cittadini degli Stati Uniti d’America.

I telegiornali ne parlarono per i mesi successivi e per gli anni di durata del lungo e complicato processo, che vide tra gli imputati ragazzi insospettabili, ben inseriti, provenienti da ottime famiglie e che, in una sera resa noiosa a causa dell’intervento della polizia, decisero senza alcun motivo di aggredire selvaggiamente una coetanea.

Di tutti questi ragazzi, solo Warren Glowatski fu disposto fin da subito a collaborare, mostrando pentimento nonostante non fosse stato lui a compiere gli ultimi tragici gesti che condussero alla morte di Reena. I suoi racconti furono all’inizio frammentari e pieni di omissioni, ma col tempo si convinse a raccontare la piena verità, costringendo anche la reticente Kelly Ellard a fare altrettanto per ricevere agevolazioni e sconti di pena. Alla presa di coscienza di Warren, si unirono alcuni altri coraggiosi adolescenti, testimoni per caso dei momenti successivi all’evento o dei racconti spavaldi di Kelly, che si vantò per giorni di aver massacrato e ucciso Reena.

Kelly non dimostrò mai pentimento però, nonostante gli anni di carcere e la condanna pubblica, così come le altre sei ragazze che avevano attivamente partecipato al pestaggio. Tutte loro si sono rifatte una vita, hanno profili social, hanno messo su famiglia e gettato alle spalle l’accaduto, spingendo chi ha seguito la vicenda a una tragica riflessione: la cattiveria può avere zero motivazioni, zero pentimenti e contorni banali e, la tendenza ad alleggerire i giovanissimi da ogni tipo di responsabilità, può trasformarli in persone incapaci di collegare azioni e conseguenze, di comprendere di meritarle.

Una bellissima e profonda lezione di vita viene impartita invece dalla famiglia di Reeva Virk, che volle e seppe comprendere e perdonare, che incontrò Warren e gli permise di spiegare e scusarsi, che non scelse l’odio legittimo in risposta a un odio feroce e immotivato.

Un romanzo toccante, una cronaca fedele e una finestra spalancata sugli abissi della incosciente crudeltà umana, scritto con la sapienza di chi non muove una critica ma vuole comprendere e aiuta farlo, perché solo comprendere permette di progredire. Affinché noi tutti possiamo ricordare e capire che tutto ciò è accaduto davvero, affinché si faccia in modo che non accada mai più, affinché Reeva non sia morta invano.

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Rebecca Godfrey


Rebecca Godfrey (1967-2022) è stata scrittrice, giornalista e docente alla Columbia University. Con La notte rossa ha vinto il British Columbia Award, l’Arthur Ellis Award for Excellence in Crime Writing, l’MFA del Sarah Lawrence College, e la fellowship della Yaddo e della MacDowell Colony.